Comunità virtuali, teleorganizzazione e amministrazione pubblica

 

di Paolo Dell'Aquila

(Università di Bologna)

mailto:pdaquila@mbox.theo.it

 

 

Anche in Italia si sta verificando una graduale "esplosione" delle comunità virtuali, i gruppi che si originano nel frastagliato ciberspazio di cui la rete Internet ha permesso una grande diffusione.

Questa impressione, però, nasconde un variegato panorama di esperienze, fra le quali è opportuno distinguere, come da noi fatto nel volume Tribù telematiche (cfr. l'URL http://www.guaraldi.it/libri/manualistica/tribu.htm) per commentare criticamente le limitate riflessioni teoriche oggi presenti [cfr. tra gli altri Jones (ed.) 1995; Jones (ed.) 1997; Holmes (ed.) 1997; Loader (ed.) 1998; Smith e Kollock (eds.) 1998].

Secondo Ann Beamish "virtual or on-line communities refers to groups of people who congregate (electronically) to discuss specific topics which range from academics research to hobbies. They are linked by a common interest or profession. There are no geographic boundaries to on-line communities and participants anywhere in the world can participate" [Beamish 1995: cap. I, nota 1].

Schematizzando la studiosa americana intende per comunità virtuale un gruppo di persone caratterizzato da:

  1. un mezzo di comunicazione mediato elettronicamente, condiviso da tutti gli attori;
  2. l'informazione comunitaria;
  3. la discussione su alcuni temi che interessano tutti i partecipanti;
  4. l’irrilevanza della località geografica in cui ogni persona si trova.

Manca, forse, in questa definizione, un accenno alle relazioni sociali ed al senso di appartenenza che si sviluppa in queste reti. Così formulata, infatti, non si comprende perché chiamare un gruppo simile "comunità", visto soprattutto il lungo dibattito sociologico intorno a queste tematiche. Come la stessa Beamish nota, un significato tradizionalmente associato all’idea di community è il senso di appartenenza, un corpo di valori ed un sistema organizzativo condivisi. In questa accezione, è necessaria la presenza fisica perché si sviluppi anche l’identificazione emotiva in un gruppo.

Proprio l’appartenenza, il feeling of belonging costituisce lo spartiacque fra la concezione tradizionale e quella telematica della comunità. Contrariamente alla Beamish, Rheingold, nel suo cult-book, punta molto sulla comunione sociale che lega i gruppi telematici.

La sua definizione delle comunità virtuali è però più semplificata e generica: esse vengono intese come "nuclei sociali che nascono nella Rete quando alcune persone partecipano costantemente a dibattiti pubblici e intessono relazioni interpersonali" [Rheingold 1994: 333]. Questi gruppi originati dalla computer-mediated communication sono insiemi di persone che, scambiandosi messaggi di posta elettronica (in liste o gruppi di discussione), chiacchierando in simultanea (tramite IRC) o facendo giochi di ruoli (MUD) sviluppano legami più o meno stabili e duraturi, fondati su interessi comuni.

Nell’introduzione all’opera Comunità virtuali l'Autore ricorda tre tipi di beni collettivi che ne costituiscono il cemento sociale. Il primo è il capitale sociale di rete, ovvero la capacità di essere accolti anche in spazi virtuali nuovi, mai conosciuti. Il secondo è il capitale di conoscenze, il patrimonio di competenze, abilità e saperi che gli appartenenti a questi tipi di gruppi posseggono e mettono in comune.

Il terzo è la comunione sociale, il senso di vicinanza e di condivisione che si prova in questi luoghi telematici. Rheingold riporta vari casi in cui tutti gli appartenenti ad un Forum telematico hanno sostenuto alcuni membri in difficoltà.

La concezione di "comunità virtuale" che scaturisce da queste concettualizzazioni è quella di uno spazio pubblico telematico, dove si può rivitalizzare l’antica società civile in nuove forme (quelle di un'agorà elettronica).

La nostra opinione, invece, è che non tutti i gruppi che si formano in rete possano essere considerati sociologicamente "comunità" e che solo alcuni (molto circoscritti) fungano oggi da spazi pubblici di confronto e di stimolo per il sistema sociale complessivo.

Se consideriamo la tradizione delle scienze sociali, la Gemeinschaft (comunità) era inestricabilmente legata alla convivenza comune a base territoriale definita, in cui si sviluppavano relazioni sociali intense con pochi soggetti [Tönnies 1963].

Il collettivo prevaleva sull’individuo, il localismo sull’universalismo e la comunicazione faccia a faccia ed uno scopo condiviso da tutti tracciavano i confini (anche normativi) per la vita sociale. Qui la sociabilità era alta ed invasiva, i rapporti di vicinato e di sangue e la tradizione rappresentavano i limiti entro i quali ognuno doveva muoversi.

L’appartenenza ad un "mondo vitale" ed ad un ceto già definito definiva la solidarietà ed il sentimento all’interno del gruppo ed instaurava una cooperazione fra pochi. La comunità, secondo questa modellistica, veniva concepita come un villaggio, un quartiere, un ecosistema, un gruppo primario che si basava sul contatto fisico, sull’incontro, sulla presenza, sull’ideazione.

Secondo C. Cipolla [1997: 466 e sg.], tutte queste dimensioni vanno criticate e riviste, perché derivano da assunti vitalistici ed organicisti. Non è mai esistita una comunità siffatta, che escludesse completamente tutti i ruoli sociali e le obbligazioni relative. Questa immagine romantica, sia nella tradizione classica, sia nell’accezione corrente, va fortemente demitizzata. Questa esigenza è tanto più forte nei casi da noi trattati, ovvero nei gruppi che comunicano tra loro a distanza indeterminata.

Jones [1995, 1997] ha paragonato queste realtà on line a imagined communities [vedi Anderson 1983]. Per lui essi si distinguono per lo stile di cui si fanno portatori e per il modo in cui si formano. In primo luogo sono gruppi mutanti, che sopravvivono nell'hic et nunc. Raggruppano quindi persone altrimenti separate e con pochi elementi in comune. Tutti costoro condividono qualche interesse, come leggere o colloquiare in una chat room e creano dei comportamenti, degli habitus di gruppo. Gli standard e le norme comuni, in questi casi, sono però spesso negoziabili e l'identità sociale è perennemente in mutamento. Ciò che unisce queste persone è probabilmente solamente il fatto di esperire uno stile comune, cosa che ingenera una minima organizzazione di base e dei controlli sulle interazioni reciproche. Qui la vita sociale viene continuamente editata, riscritta e nuove narrazioni vengono sempre introdotte.

Alcuni studiosi sostengono che queste esperienze possono essere liberatorie: anche S. Turkle [1997] nota come l'adesione a dei gruppi siffatti rappresenti talvolta un modo per sperimentare il self ed arricchire la propria identità personale. M. Willson [1997] ritiene invece che i vari partecipanti, sradicati dall'incontro virtuale, sperimentino una polverizzazione della personalità ed un'incapacità totale di decidere quale sia il bene comune e la condotta migliore. I casi di Internet addiction che la stampa ricorsivamente ci propone sarebbero esempi di come i legami sociali in rete si impoveriscano e si svuotino. Nella maggior parte dei casi questi gruppi perdono irrimediabilmente tutte le determinazioni corporee, tutti i significati culturali ed i legami territoriali tipici di ogni incontro sociale faccia a faccia.

Non tutte le comunità virtuali svolgono però le stesse funzioni. Serena Vicari ne individua tre. La prima è quella strumentale: come nel caso della comunità scientifica o delle teleorganizzazioni le relazioni in rete sono dirette all'assolvimento di compiti specifici.

Il secondo tipo è invece diretto alla creazione di relazioni sociali; la sua finalità è soprattutto espressiva ed è rivolta allo svolgimento di giochi di ruolo o di chat line. La grande espansione delle comunità virtuali è originata soprattutto dalla diffusione di questi gruppi, con finalità prevalentemente ludica [vedi Shields (ed.) 1996; Metitieri e Maniero 1997].

I gruppi telematici possono infine divenire luoghi per la sperimentazione dell'identità. Turkle [1997] e Stone [1995] ci mostrano molti esempi di come gli ambienti virtuali consentano al sé di esprimere identità nuove e dissimili da quelle ordinarie.

Gli usi più "ludici" o sperimentali della rete generano quindi gruppi che potremmo definire forme di tecnosocialità fluttuante; sono questi i casi più distanti dalla tradizionale nozione di comunità e contemporaneamente i più diffusi.

Altre volte, invece, le "tribù" si strutturano, dandosi obiettivi comuni e generando realtà più simili alle comunità tradizionali.

 

2. La tecnosocialità

 

Le comunità non strutturate comprendono (nella classificazione tipico-ideale da noi proposta) soprattutto i Multi-User Dangeons (i giochi di ruolo), i canali IRC (Internet Relay Chat) e molti newsgroup, (bacheche elettroniche dove ognuno può affiggere messaggi pubblici).

Mentre i MUD e l'IRC presuppongono sessioni di tipo sincrono (in cui cioè i partecipanti interagiscono in contemporanea), i newsgroup invece sono asincroni, poiché ognuno può intervenire al dibattito in momenti diversi.

Sono soprattutto i giochi di ruolo a fuoriuscire dalla tradizionale nozione di comunità, poiché in essi gruppi di persone si creano dei sé virtuali anonimi e ridefiniscono completamente l’ambiente in cui operano.

Queste entità costituiscono un po’ la frontiera di Internet, perché ogni partecipante definisce la propria identità diffrangendosi in una moltitudine di maschere e situazioni differenti. I MUD sono ambienti virtuali in cui tutti immaginano e creano dei "doppi virtuali" che nessuno potrà mai scoprire [cfr. ad esempio Shields 1996; Turkle 1997].

Anche i gruppi che si formano nelle conversazioni attraverso l’Internet Relay Chat (IRC), proprio in quanto mantengono i meccanismi di anonimità già presenti nei giochi di ruolo, sono difficilmente classificabili come "comunità".

Certo negli scambi che si sviluppano nei vari canali ci sono dei limiti dati dalla presenza degli operatori di canale che possono espellere dei soggetti. Però, nonostante le controargomentazioni di Rheingold [1994: 211], gli utenti rimangono sempre dei fantasmi virtuali che possono ricominciare in ogni momento le interazioni, adottando nickname diversi.

Heather Brombergh [1996] sostiene che in questi casi avviene un'alterazione della percezione della realtà sociale, con la perdita dei confini fra reale e virtuale. I MUD soprattutto consentono ad individui isolati di entrare in contatto con altre persone, sviluppando forme di socialità on-line. I partecipanti possono quindi giocare con la propria identità, allargandone i confini simbolici. C'è poi il richiamo erotico dato dalla possibilità di fare "sesso virtuale", ovvero mere fantasie che si concretano in messaggi scritti o comandi (sempre scritti). Tutto ciò basta a scatenare l'immaginazione dei singoli, liberandola e permettendo ad essi di esperire dei "voli pindarici" che spesso finiscono nel narcisismo. Da ultimo, la Bromberg include nelle funzioni dei MUD anche il divertimento dato dal padroneggiare un mondo artificiale nuovo e dalla capacità di riplasmarlo in base alla propria volontà.

Queste tesi sembrerebbero confermare le teorie di S. Turkle, che vede questi ambienti come luoghi ove sfidare la propria identità personale. Un avatar virtuale (così come un nickname) è un manichino su cui il nostro inconscio può riversare pulsioni represse e desideri inespressi [Turkle 1997].

Durante queste interazioni piaceri e dispiaceri, idealizzazioni e demonizzazioni sono tutti esagerati. Gli altri divengono un prolungamento dell'io [come visto in Lasch 1981, 1985]. Per alcuni si ritorna ad una fase narcisista [Robins 1995; Mantovani 1995] dello sviluppo mentale; per altri, come S. Turkle [1997: 302] questi gruppi sono mezzi per saggiare i limiti del proprio sé, mettendone in scena tutti quegli aspetti che nella vita reale sono inibiti.

Da qui deriva comunque una certa frammentazione dell'io, che quanto meno si ritrova scisso fra la sua identità virtuale e quella reale [vedi Mantovani 1995]. Il bilanciamento fra queste due è sempre problematico e contraddittorio, con rischi di rifugiarsi in un'immagine di sé arcaica ed onniscente [Passerini et al. 1996; Holmes (ed.) 1997].

Le chat line ed i MUD, per le loro caratteristiche di anonimità e di gioco improvvisato, sono dei dialoghi in cui gli attori, avvalendosi di testi, possono trasfigurarsi nei loro doppi irreali o sfoggiare personalità multiple. Come sostiene Mantovani [1995], ne risulta una continua problematizzazione di tutte le categorie mentali dei singoli e delle loro identificazioni, che rende la linea di demarcazione reale/virtuale sempre più debole. Possiamo definire queste forme di socialità reti socio-telematiche, per sottolinearne il carattere mutante ed instabile.

Una rete sociale si caratterizza infatti in quanto "spontaneità e segmentazione più o meno articolata, di contro ad un coordinamento sistemico più o meno centrale di natura autopoietica" [Cipolla 1997: 2445]. Rispetto al sistema sociale essa si presenta come un’entità fluida, dai confini spesso sfumati. Connota per questo una dispersione di soggetti, una creatività che si esprime nell’informalità; assume quindi una logica di tolleranza verso il diverso, fondandosi sulla fluidità, sulla previsione occasionale.

Il paradigma di rete si impronta ad un policentrismo operativo che garantisce il pluralismo, la comunicazione multidirezionale. In questi gruppi l’informazione viaggia in modo circolare, ricreandosi continuamente. Essa è un intreccio che vive, crea, produce la sua sfera di relazioni, divenendo in parte relativamente autonoma dai soggetti.

Una rete è composta di individui, ma riesce a prescinderne nei suoi processi continui di autogenerazione, tracciando fugacemente un’esistenza sociale instabile, fluttuante. Essa è definibile anche come "vita che fluisce fra l’apporto autonomo dei soggetti e quello, altrettanto autonomo, di inter e di più inter" [ibidem: 2446].

La rete salva il soggetto, ridandogli le sue capacità mitopoietiche, ma d’altra parte rimane sempre anche intreccio mutabile ed ateleologico, senza uno scopo ben definito. In essa si genera e rigenera la relazione sociale, ovvero un "rapporto fra auto, più o meno intenzionati, che può essere simmetrico o asimmetrico, che collega e distanzia, che si riferisce nell’io al non-io, che possiede ed è posseduto dai soggetti in campo [...] che non può mai prescindere completamente dal contesto o da altro da sé" [ibidem: 2417].

Le relazioni sociali sono rapporti fra monadi, che sanciscono una co-produzione della vita sociale. Le reti di cui parliamo sono caratterizzate da legami comunicativi mediatizzati, che si svolgono per via telematica, e svincolandosi dai tradizionali rapporti di vicinanza, di prossimità spaziale e temporale.

Come tutti i mezzi di comunicazione anche quelli nuovi influenzano la "geografia situazionale" della vita sociale [Meyrowitz 1993]. Essi cioè portano ad un mutamento del comportamento degli attori nel senso di una de-territorializzazione della loro presenza. Con ciò permettono a diversi soggetti di agire contemporaneamente, oltrepassando la dimensione spazio-temporale.

Le reti socio-telematiche vanno studiate come rappresentazioni sociali in cui esistono alcuni attori che, come nei rapporti faccia a faccia, rappresentano i loro personaggi di fronte ad un pubblico che li asseconda [Goffman 1969; Picci 1997; Stone 1995].

Questi gruppi (che possono descrivere situazioni varianti da un’interazione organizzata ad un gruppo di interlocutori occasionali in un canale IRC) posseggono anch’essi una qualche "forza". Tra gli indicatori che possiamo utilizzare a questo proposito vi sono il coinvolgimento affettivo che suscitano, l’intimità che raggiungono i partecipanti, l’ammontare di tempo ad essi dedicati ed i servizi reciproci scambiati.

È chiaro che alcuni gruppi (come MUD o IRC) possono risultare per certi versi "forti" per il numero di ore (anche sei al giorno) che vengono trascorse in queste attività (magari inframezzate con altre) e per il senso di comunanza tra coloro che operano.

Questi fenomeni non sono però isolati e relativi al mondo di Internet: essi costituiscono i nuovi tipi di legami sociali (formali ed informali) che caratterizzano la società comunicazionale (come le mode, le bande sub-culturali, ecc.).

Ciò ci conduce ad evidenziare gli elementi comuni di questi gruppi con quelli neo-tribali da alcuni identificati come l’elemento centrale della società post-moderna. Secondo Maffesoli, "la magia della partecipazione raggiunge la sua vetta con il videomessaggio (Minitel), e più precisamente nei reticoli conviviali o in quelli erotici. Lì non è più necessario conoscersi per riconoscersi; esiste una forte presenza nell’assenza stessa [...] Questo fenomeno è portatore di un’atmosfera emotiva specifica che proviene dal sentimento di partecipare ad una comunità, fosse soltanto una comunità tratteggiata o persino invisibile" [Maffesoli 1993a: 303-304].

Nel "tribalismo" telematico [Maffesoli 1988] si sperimenta un’ambiance, clima comune che sembra sedimentare un nuovo legame sociale. L’aisthesis, il sentire assieme, coagolatosi in un medesimo habitus (come la fruizione di un MUD) dà luogo ad una socialità diffusa ed afinalistica.

Il provare emozioni insieme conduce ad aggregazioni e riaggregazioni continue, che vivono sull’"istante eterno" [Maffesoli 1990]. La socialità ha quindi una dimensione esclusivamente ludica, non dando luogo normalmente a delle aggregazioni stabili, ma rinnovandosi continuamente. Ne nasce una "cultura del sentimento" [Maffesoli 1992] che poggia su una pluralità di identificazioni estetiche cangianti.

La socialità attuale designa infatti un tipo di aggregazione non basata sul contratto o sulla razionalità, ma sulla prossemia, sullo stare insieme in un medesimo ambiente (reale o virtuale) che si esaurisce nell’istante, senza dar luogo a dei legami duraturi. Secondo Maffesoli oggi "si assiste alla sostituzione di un sociale razionalizzato con una socialità a dominanza empatica.

La socialità si sta esprimendo in una successione di ambiances, di atmosfere, sentimenti, emozioni. È, per esempio, interessante notare che ciò a cui rinvia la nozione di Stimmung (atmosfera) [...] serve sempre più, da un lato, per descrivere i rapporti che regnano all'interno dei micro-gruppi sociali, dall'altro per specificare il modo con cui tali gruppi si situano nel contesto spaziale (ecologia, habitat, quartiere)" [Maffesoli 1988: 22].

Lemos ed altri studiosi del CEAQ hanno evidenziato in una serie di ricerche sul campo la genesi di una "tecnosocialità" [Aa.Vv. 1996] caratterizzata da una comunanza basata su affinità intellettuali, su un clima condiviso e distaccata dai tradizionali legami spaziali o temporali. Esse prescindono quindi da ogni legame fisico, territoriale e dall'espressione degli status sociali [Lemos 1996: 33].

La tecnosocialità si caratterizza quindi per la perdita dei tradizionali confini spazio-temporali e per l’esaltazione dell’aspetto relazionale del messaggio, ovvero della volontà ludica di comunicare sui contenuti stessi di quanto veicolato [vedi Boccia Artieri [1995: 131].

 

3. Associazioni telematiche e teleorganizzazioni

 

Alcune reti socio-telematiche sono più vicine a comunità, in quanto si dotano di strutture proprie e si organizzano dandosi delle regole e degli obiettivi comuni. Uno degli esempi eclatanti è il famoso WELL (Whole Earth Electronic Link), il sistema di teleconferenze studiato da Rheingold e da lui indicato come prototipo di "comunità virtuale".

In Italia, una cosa simile si osserva nel caso de La Città Invisibile (sito web: http://www.citinv.it), di PeaceLink (http://www.peacelink.it) o di Pegacity (http://www.pegacity.it), associazioni telematiche che si distinguono nettamente dalla miriade di interazioni fuggevoli che popolano il ciberspazio.

Questi gruppi hanno infatti tutte le caratteristiche delle associazioni, ovvero "collettività visibili, auto o etero-codistribuite, che comunque scontano il fatto di essere libere, non ascritte né vincolanti, e di fondarsi su un interesse più o meno materiale, anche parziale e mirato, comune" [Cipolla 1997: 191]. Questi gruppi auto-organizzati in base a fini da loro liberamente scelti, prevedono un numero variabile di ruoli dirigenziali e presentano regole rigide ed avvolgenti.

L’associazione normalmente decide la propria struttura interna, divenendo "collettivo sociale che eccede se stesso", fissando delle proprie mete, che possono essere di vario genere. Secondo Donati [1991: 142], ad esempio, essa può anche essere definita come "gruppo organizzato su basi volontarie per il perseguimento di obiettivi comuni non raggiungibili individualmente dai singoli membri", essendo questi obiettivi non esclusivamente materiali (o economici).

Le associazioni normalmente tendono a differenziarsi molto fra loro e ad essere "sistemi relazionali a confini variabili", in base al tipo di organizzazione che si danno.

Mentre dunque le forme di tecnosocialità si mantengono entità fluttuanti e perennemente instabili, le associazioni riducono la complessità dell'ambiente telematico, adottando delle norme interne e fissando dei fini comuni. Non è del tutto corretto sostenere, come fanno i cyberpunk, che Internet è il luogo dell'artificialità, della simulazione, un rizoma o labirinto proliferante privo di una direzionalità predefinita [Deleuze e Guattari 1980]. Questa rappresentazione infatti sopravvaluta eccessivamente il mito delle libertà delle comunicazione, la proliferazione di narrazioni locali post-moderne [Baudrillard 1990, 1992; Poster 1995; Featherstone e Burrows (eds.) 1995]. Le associazioni, invece, dotandosi di una struttura organizzata e di scopi comuni dimostrano la necessità di integrare i legami virtuali con la solidarietà interpersonale, l'elaborazione di una cultura propria e di un progetto da realizzare.

Questi gruppi telematici presentano delle forti analogie con quelle reali: spesso nascono da un nucleo ristretto ed omogeneo di persone, dotandosi di un progetto e di adeguati strumenti per raggiungerli. Da qui si sviluppano delle piccole istituzioni che poi facilitano l’aggregazione di altri soggetti, garantendo soluzioni ai loro problemi organizzativi.

Una delle questioni ricorrenti è quella della democrazia interna, ovvero le questioni relative a come assicurare la partecipazione, il controllo degli eletti, la "democrazia continua". Per via telematica si possono convocare, ad esempio, delle "assemblee sincrone", a cui tutti partecipano contemporaneamente, o "asincrone", in cui invece i messaggi vengono recepiti solo tempo dopo il loro invio.

L’esperienza de La Città Invisibile [Picci 1997, 1998] è quella di assemblee asincrone, organizzate in mailing list o liste di discussione permanentemente aperte. Questa associazione raccoglie infatti partecipanti di entrambe le sponde dell’Atlantico e faticherebbe a riunirsi in un luogo sincrono, come un canale IRC. Per questo motivo è stato adottato un sistema di mailing list moderate da una persona, ove è possibile discutere e scambiarsi messaggi in momenti ed ore diverse; le assemblee telematiche si svolgono entro il lasso di tempo di tre giorni lavorativi, durante i quali ognuno può esprimere il proprio dissenso sulle proposte presentate.

L’ordine e la gerarchia che regna (quasi sempre) nelle liste testimonia che questa associazione è nata e sopravvive per due ordini di fattori. Da un lato ha saputo ben regolare le relazioni strutturali fra gli aderenti (limitando i flussi comunicativi, sapendo intervenire quando scoppiavano discussioni troppo violente, arrivando anche ad espellere degli aderenti).

Dall’altro, però, essa ha creato legami di solidarietà e di amicizia esistenti anche off-line: questi dati sono infatti molto importanti per capire poi la rete di contatti esistenti. I Plenum del Collettivo Immaginario, che sono occasioni conviviali di ritrovo, rappresentano un mezzo per cementare dei vincoli sociali, per divenire in senso più classico una comunità, una rete sociale.

Grazie all’operato dei soci è stato poi possibile costruire una rete (non gerarchicamente ordinata) fra varie realtà non telematiche e territoriali. Sono state firmate convenzioni con numerose associazioni tradizionali, che venivano seguite on-line da aderenti a Città Invisibile.

Il risultato, come evidenziato nella pagina di presentazione che appare in rete, è che "la Città Invisibile offre visibilità su Internet a quelle organizzazioni - associazioni, pubblicazioni periodiche, schieramenti politici - che ne condividono i fini:

Per queste organizzazioni, La Città Invisibile si propone come interfaccia tra la 'realtà' e il 'cyberspazio' di lingua italiana" [vedi l'URL http://www.citinv.it/intro.html].

Su questa falsariga si sono mosse varie altre associazioni, come "Isole nella Rete". Quest’ultima (sito web: http://www.ecn.org/inr/) fa parte dell’Ecn (European counter network), una rete di Bbs che connette l’intera Europa. È nata a Venezia nel 1991 in un convegno dei rappresentanti dei collettivi (autonomi, femministi, ambientalisti, anarchici) sparsi per il Continente. L’obiettivo che si prefigge è di sfruttare le possibilità della rete per attuare la "controinformazione". In Isole nella rete si trovano notizie, sia sulle Bbs sia sulle webzines collegate, sui più svariati argomenti (dalla rivolta zapatista in Messico al dibattito antiproibizionista); liste di discussione per scambiarsi informazioni e opinioni; siti musicali, in cui si può ascoltare la programmazione delle radio che hanno aderito al progetto.

Come leggiamo nel suo statuto, anch’essa si profila come associazione sia virtuale e reale che "si propone di intraprendere azioni ed iniziative per:

Un altro valido esempio di associazione virtuale è PeaceLink, un network informativo i cui soci si riconoscono nei valori del volontariato, della solidarietà e della difesa dei diritti civili. Il nome, che significa "collegamento di pace" indica il desiderio di far dialogare persone singole, associazioni e realtà operanti nell'ambito ecopacifista.

Si struttura in un sito web (http://www.peacelink.it) ed in ventotto liste di discussione attive, operanti su temi che vanno dall’ecologia alla lotta alla mafia, al razzismo e alla droga, sino alla difesa dei consumatori. Ogni lista ha il suo moderatore ed è spesso in contatto con realtà territoriali (soprattutto gruppi di volontariato).

È da notare che recentemente è stata costituita una vera e propria associazione PeaceLink, distinta dalla rete telematica e con il compito di coordinare i "Club di PeaceLink", i quali ne rappresentano le unità territoriali, con una propria struttura "reale". In questo modo l'associazione ha fortemente radicato la sua azione in organizzazioni locali, che costituiscono i punti di ingresso dei vari soci fisici.

Per statuto, l’associazione è composta da "una rete decentrata di Club - dotati di un proprio statuto e un proprio presidente - a cui aderiscono i soci; all'interno dei Club vengono espressi i rappresentanti nel Coordinamento" [si veda lo statuto all’URL http://www.peacelink.it/assstat.html#statuto].

Per certi versi questo pare un segnale della riterritorializzazione dei vari gruppi, che operano contemporaneamente in virtuale ed in reale. I partecipanti, fra l'altro, possono scegliere fra modalità più differenziate per portare il loro apporto, dando contributi sia a livello locale che a quello globale (della rete telematica).

In virtù anche del loro radicamento locale, queste comunità strutturate garantiscono quindi generalmente maggiore coesione interna e senso di appartenenza duraturo. Inoltre c’è sempre l’idea di un "bene comune" da perseguire, che strappa queste formazioni sociali al gioco istantaneo di personae, di maschere create nella rete per durare solo per un periodo limitato di tempo.

Si può quindi pensare che in esse l’io, pur se molteplice, non sia però incoerente [cfr. Cipolla e Dell'Aquila 1998]. R. J. Lifton ha descritto la nascita nella post-modernità di un sé proteiforme, mancante di identificazioni forti, dotato di un forte spirito ludico ed autoironia. Ha però notato che l’eccesso di complessità e di incongruenza può essere affrontata in un modo nuovo [cfr. Lifton 1993]. Oggi riaffiora un senso di comunanza con il genere umano, una consapevolezza quasi di ciò che ci unisce alla specie e che conduce ad una rinnovata partecipazione alla società civile. Questo discorso rimane in Lifton spesso troppo generico, ma suggerisce la dinamica delle identità emergenti, che sperimentano un ritorno del senso civico, soprattutto a livello di comunità locale, di linguaggio e razza.

Se alcuni temi come la non violenza, la difesa dell’ambiente, i limiti ecologici all’esistenza umana, sono stati da tempo "interiorizzati" dagli attori sociali, probabilmente il dato più innovativo è il forte senso di identificazione nel contesto locale, nel piccolo mondo in cui si vive.

L’imperativo dominante ("conosci te stesso") si coniuga oggi con il senso di coinvolgimento nella comunità locale, a partire delle reti sociali primarie (famiglia, amici, gruppi di self-help) fino a quelle secondarie (associazioni, cooperazione, ecc.) [cfr. anche Turkle 1997].

La globalizzazione si accompagna sempre alla rinascita di un bisogno interiore di radicamento in forme di socialità differente. Essa favorisce il sorgere di identità culturali che mediano ed integrano i contenuti transnazionali con quelli tradizionali, dando luogo ad una "infoglocalizzazione" [cfr. Robertson 1992; Featherstone 1995; Boccia Artieri 1998]. Di fronte allo sviluppo di comunicazioni globali nasce spesso la necessità di riappropriarsi di uno "spazio ristretto", familiare, in cui sia possibile costruire un vissuto non labile ma concretamente gestibile [Tagliagambe 1997].

V’è oggi spesso (anche per chi ha intensi rapporti on line) il bisogno, cognitivo, emotivo ed affettivo, di intessere rapporti umani non limitati al semplice scambio di informazione, ma capace di ridare una finalità ai rapporti umani, aprendoli all’empatia.

Intessendo delle relazioni (virtuali e reali) in luoghi come le associazioni, la soggettività non rimane un semplice pastiche di personalità, ma può sviluppare la propria unicità, mantenendola multipla ma coerente [cfr. Turkle 1997: 389].

A questo scopo è importante, quindi, creare delle associazioni che operano in agorà elettroniche non troppo distanti da quelle reali. Il successo di reti civiche (come quella milanese o bolognese) si deve probabilmente addebitare al senso di identificazione in un contesto reale e locale che nuove i cibernauti [BCNET e RCM 1997; RUR 1998].

Certo, possono esistere associazioni virtuali di persone completamente separate in termini di spazi fisici; ma l’optimum è probabilmente l’essere radicati in un territorio, per poter comunque avere interscambi anche nella vita reale e per proporre issues che interessano più da vicino i soggetti.

Il collegamento con le reti civiche può essere quindi importante (anche se non decisivo). I community network sono infatti delle reti telematiche che si prefiggono di fornire agli utenti (enti, cittadini, associazioni, aziende, pubblica amministrazione) una gamma di servizi che coinvolgono diversi settori dell’area urbana.

La partecipazione attiva dei cittadini, ove organizzata (e costituita in lobbies) ridà una dimensione etico-situata anche ai sé proteiformi attuali. Questa tendenza ad integrare la comunicazione telematica con l'amicizia "reale" (che si nutre di incontri fisici) è anche un effetto della globalizzazione della comunicazione che, portando alla "fine delle comunicazioni di massa" [Olivi e Somalvico 1997], genera una molteplicità di mondi diffusi, che rielaborano su scala locale i panorami, le informazioni veicolati da Internet [vedi anche De Kerckhove 1993, 1997].

Per incidere sulla realtà sociale occorre però che i soggetti telematici sappiano anche costruirsi un’articolazione tradizionale, off-line e single issue. Una teleorganizzazione deve infatti tessere anche una rete di rapporti informali che le consentano di entrare ad operare in contesti specifici, determinando anche differenziazioni al suo interno e sotto-fini organizzativi [Picci 1998]. Proprio la natura fortemente interattiva del ciberspazio può incoraggiare la crescita di associazioni dotate di un'articolazione differenziata, in grado di rispondere alla pluralità di stimoli che provengono dal loro ambiente.

In questo modo (ad esempio tramite convenzioni con organizzazioni tradizionali) la teleorganizzazione potrà adottare una "politica molecolare" [Lévy 1996], a piccoli gruppi di lavoro legati da connessioni trasversali ed operanti sui singoli problemi.

Se oggi possiamo concepire una "repubblica elettronica" [Grossman 1995], questa si profila nella forma di tante piccole associazioni che si autogovernano e propongono all’attenzione dell’opinione pubblica temi e risposte, magari di grande interesse per una o più reti civiche [Schuler 1996; Rodotà 1997].

Questo però implica da un lato la valorizzazione delle comunità locali (e soprattutto dei community network) come mezzi per la formazione di una nuova "sfera pubblica". Dall'altro occorre che tutti gli attori (pubblici, privati e di terzo settore) promuovano la costruzione di responsive community, basate sull’idea della reciprocità e del bene comune [Etzioni 1993]. Occorre perciò che l’azione politica, la giustizia sociale e l’idea stessa della solidarietà vengano riferite a dei contesti storici ed a culture determinate ed essenziali. Le reti civiche ed i gruppi gravitanti attorno a loro devono mantenere la loro duplice natura di mezzi capaci di comunicare ed interagire con qualsiasi punto del web, ma anche di esprimere le necessità locali (ed anche nazionali). Dunque è necessario costruire un’arena democratica virtuale multidirezionale, in grado di affrontare tematiche single-issue, ma anche di allargarsi e di sviluppare progetti più generali.

Occorre promuovere la nascita di gruppi che operino in modo "glocale", costruendo un ponte fra le strutture sistemiche e quelle intersoggettive, fra istituzioni e cittadini [Ardigò 1988; Ardigò e Mazzoli (a cura di), 1993]. Doheny-Farina [1996] ed altri [Casalegno e Kavanaugh 1998] hanno rivolto l’attenzione ai Neighborhood Net, le reti che collegano i quartieri, inserendosi nelle più ampie reti civiche. I neigh-net sono più vicini alla popolazione, possono pubblicizzare gli eventi, dibattere i problemi, semplificare appuntamenti, facilitare le connessioni a livello di micro-comunità.

A livello di quartiere è più facile intervenire, creando progetti, sinergie, supporti fra scuole, enti di volontariato, associazioni e cooperazione sociale. Diviene anche più semplice promuovere dei documenti di riflessioni con cui le comunità locali discutono la loro via per entrare nella società dell’informazione, definendo priorità ed obiettivi. A questo livello enti pubblici, privati e reti relazionali primarie e secondarie possono discutere gli standard, le iniziative e le agende da definire.

Perché una rete civica abbia successo occorre seguire appunto questo modello, coinvolgendo associazioni, cooperative, reti familiari, amicali e di volontariato, nella creazione di una nuova agorà telematica. Le comunità virtuali per funzionare stabilmente richiedono la condivisione di obiettivi e culture comuni; esse quindi possono riterritorializzarsi, favorendo il ritrovamento della dimensione storico-situata dell'individuo. In questo modo potremo rispettare pienamente la natura intersoggettiva e diacronica propria di ogni essere umano. Noi nasciamo, ci sviluppiamo e muoriamo solo in questi ambiti identificativi e non possiamo ignorare il radicamento spaziale e sociale, ovvero l’appartenenza ad un mondo della vita, che ci rende delle coscienze uniche ed inimitabili [cfr. Taylor 1994; Jones 1997].

Come ha sottolineato E. Stagni [1998], vivere una vita "buona", significa comunque vivere in modo congruente con se stessi, ovvero in modo autentico. Questo tipo di identità si distingue per il fatto che è capace di esprimere l’unicità ed irripetibilità socialmente elaborata. Per evitare di rimanere dei "sé saturi" diffranti in moltitudini di personaggi virtuali [Gergen 1991], è necessario ritrovare dei percorsi di radicamento in alcune culture, con i quali il singolo riesce a gestire meglio il proprio progetto di vita [Livolsi 1993; Dell'Aquila 1997], agendo in modo più selettivo e coerente.

Lo testimoniano le reti civiche più avanzate nel contesto attuale: quelle di Milano e Bologna [vedi per un’indagine generale RUR 1997, 1998].

Se prendiamo, ad esempio, Iperbole (Internet per Bologna e l’Emilia Romagna), questa esperienza si distingue rispetto al caso milanese (promosso dall’Università), perché è nata (nel 1995) grazie alla collaborazione del Comune di Bologna, dell'Università, di un partner privato e del CINECA. Si è quindi connotata maggiormente per l'integrazione fra pubblico, privato e terzo settore (soprattutto le associazioni non-profit). Queste ultime sono proprio le componenti più attive della rete, in quanto vanno a promuovere lo sviluppo dei numerosi newsgroup (su argomenti sia cittadini che nazionali).

In Iperbole v'è un uso più massiccio delle pagine web per sviluppare servizi di vario genere (il suo sito è all'indirizzo: http://www.comune.bologna.it/bologna/).

Le informazioni sulla città e sulle manifestazioni culturali che vi si svolgono sono a disposizione di tutti; chi si registra, versando, una tantum, un piccolo rimborso spese (70.000 lire), può accedere anche ai vari servizi telematici: distribuzione di certificati e pagamento di tributi, contravvenzioni e atti amministrativi, prenotazione di alberghi, informazioni sui servizi pubblici e inserimento di pagine web di interesse collettivo. Inoltre, si prevedono nuovi servizi per il pagamento di Irpef, Ilor, tasse universitarie e di registro, ticket sanitari ecc. e per la certificazione da parte del Comune della firma elettronica apposta in atti ufficiali.

L'ente locale promuove inoltre azioni di alfabetizzazione gratuita all'uso di strumenti telematici e concede gratuitamente spazi web a scuole e gruppi senza fini di lucro. Ai cittadini registrati viene erogato, oltre alla posta elettronica, l'accesso ad Internet. I gruppi di discussione sono più liberi rispetto alle conferenze della RCM. Iperbole ha inoltre il vantaggio di partire con il più alto numero di utenti registrati per singola rete civica in Italia (circa 34.000 alla fine del 1997: cfr. RUR [1998]).

Da qui si evince la vivacità di questa rete, che poggia sulle sinergie fra pubblico, privato e terzo settore, promuovendo la presenza soprattutto di quest'ultimo in rete. Proprio per questo Iperbole può essere definita una holistic digital city, capace di sviluppare un circolo virtuoso fra tutti gli attori coinvolti. È da notare, quindi, la forte presenza di gruppi di tecnosocialità e di associazioni on-line su questa rete civica, segno di una direzione verso la quale dovremmo incamminarci.

A conclusione del nostro paper, vogliamo sottolineare che le comunità virtuali in grado di far nascere una nuova sfera pubblica telematica sono al momento poche. Esse si sviluppano come teleorganizzazioni, ma si caratterizzano anche per i valori e gli obiettivi comuni, a cui tendono. Molto spesso si ancorano a gruppi reali, instaurando una dialogica continua fra i livelli on-line ed off-line. Probabilmente incentivando queste esperienze e collegandole con il livello delle reti civiche si potranno ottenere risultati migliori: ovvero la costruzione di tanti percorsi "glocali" alla società dell’informazione, in grado di combinare valori e storie differenti con l’apertura internazionale data dal medium Internet.

 

 

 

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