Da
un libro di storia del XXI secolo: “ Mentre il secolo andava a finire, il
mondo diventò più piccolo. Il grande pubblico, rapidamente, poté accedere
a tecnologie di comunicazione nuove e incredibilmente più veloci. Gli
imprenditori, capaci di cogliere economie di scala di dimensioni mai viste
prima, costruirono vasti imperi. Grandi fortune vennero accumulate. Il
governo richiese che questi nuovi, potenti monopolisti venissero regolati
da leggi antitrust. Ogni giorno portava nuovi miglioramenti tecnologici
che mettevano in difficoltà i modelli tradizionali di fare impresa.
Eppure, in qualche modo, le leggi dell’economia furono in grado di
dimostrarsi ancora valide. Coloro che furono capaci di padroneggiarle,
sopravvissero nel nuovo ambiente. Coloro che non lo fecero, fallirono.
Tradotto da pagina 1 del libro Information Rules, di C. Shapiro, H. L.
Varian, Harvard Business School Press, Harvard 1999. Testo che consiglio
di leggere e che ho rapinato per scrivere ciò che segue.
No,
non è quello che pensate. La descrizione sopra riportata racconta ciò che
accadde alla fine del secolo scorso quando vennero messe in posto le
infrastrutture dell’elettricità e del telefono e cambiò l’economia del
mondo. Senza cambiare una virgola la si può utilizzare per descrivere
Internet e la Rete. Al solito. Nulla di nuovo sotto il sole. Ieri come
oggi c’erano quelli che non ci credevano, gli scettici ad oltranza. Un
esempio per tutti, tratto da un Memo interno della Western Union del 1876:
“Questo ‘Telefono’ presenta troppi inconvenienti per essere seriamente
considerato un sistema di comunicazione. Intrinsecamente l’apparecchio ha
per noi valore nullo ”. Un giudizio alquanto di parte, visto che la
Western Union era il monopolista del telegrafo… Era.
A
proposito, ben trovati. Dopo le puntate precedenti dove si è parlato di
sentimenti, torniamo nell’arido – secondo alcuni – mondo dell’economia e
lo facciamo guardando al passato. Cerchiamo di capire, nel marasma del
cambiamento, quali sono, se ci sono, le regole durevoli dell’economia.
Quelle che non cambiano al cambiare delle mode. Le primitive. Cerchiamo di
rispondere alla domanda: le tante proposte di nuove economie oggi alla
moda, hanno senso o fanno senso? Economia digitale, della rete,
dell’informazione, dell’esperienza, dell’attenzione… sotto a chi tocca.
Sono ipotesi furbe o proposte finalizzate a vendere libri in formato
vario?
Se
rileggiamo la descrizione introduttiva e se confrontiamo come è andata la
storia del telefono e come stanno andando le cose adesso con la Rete, le
analogie sono troppe. Non è un’ipotesi malsana che ci siano delle
primitive dell’economia, indipendenti dalle infrastrutture tecnologiche
utilizzate. La loro individuazione consente di trovare un rassicurante
ordine nel caos dell’universo del cambiamento, che oggi è sinonimo di
Rete.
Si
potrà obiettare che il mondo della rete è troppo diverso da quello del
telefono per tracciare un parallelo fra i due. Eppure non ci sono grandi
differenze fra la battaglia fra Netscape e Microsoft e quella che ci fu
fra le aziende telefoniche locali e il Bell System intorno al 1900. Il
problema è identico, si chiama “interconnessione”. Lo hanno dovuto
risolvere le ferrovie, l’aviazione civile, l’industria informatica.
Netscape deve interfacciarsi con il sistema operativo della Microsoft. Le
piccole aziende telefoniche per offrire il servizio sulla lunga distanza e
sopravvivere dovevano trovare un accordo con la Bell. Non tutte ce la
fecero. Non tutte ce l’hanno fatta. C’è da chiedersi se ce la farà
Netscape.
Vi
propongo di approfondire la tematica dell’economia della rete e del
commercio elettronico. Non è una cosa semplice e non garantisco il
risultato. Però ci provo. Come disse il Mao Tse, ogni Lunga Marcia inizia
con un passo. I nostri primi passi hanno a che fare con l’Economia
dell’informazione, per passare poi all’economia dell’esperienza e fermarci
su quella dell’attenzione. Per adesso limitiamoci ad una prima rassegna.
Nelle prossime puntate l’immersione sarà più profonda.
Il
bene fondamentale del mondo delle reti è l’informazione. Questo ormai lo
sanno tutti. Qualunque cosa può essere messa in forma digitale – musica,
suoni, immagini, testi, … – è informazione. Tutti i supporti di
informazione possono essere digitalizzati. Il che non implica che ci sia
anche la convergenza dei linguaggi e delle modalità di uso dei suddetti
supporti. Scrivere un articolo è e rimarrà ben diverso dal girare un film.
Con buona pace dell’ottimo Nicholas Negroponte… L’informazione è un bene
alquanto peculiare: costa molto da produrre ed è incredibilmente a basso
costo da riprodurre. Titanic è costato centinaia di milioni di dollari.
Farne una copia in videocassetta è roba di centesimi. Il che implica che
non ha senso parlare di prezzo basato sul costo di produzione: quando il
prezzo unitario è zero, il margine del 10 o 20% è comunque sempre zero. Il
prezzo del bene informazione deve essere basato sul valore che il
compratore gli attribuisce. Valore che è strettamente legato al tempo di
soddisfacimento o se preferite a quanto siamo disposti ad aspettare.
Volete vedere il film in prima visione? Pagate 20mila lire a persona.
Aspettate sei mesi e vi comprate la videocassetta? Lo vedete voi e
famiglia e di certo risparmiate. Come prezzare l’informazione in funzione
della domanda e dei vincoli di produzione è il primo dei punti che
approfondiremo. Non ora però.
Altro
elemento che determina il valore del bene informazione è l’esperienza che
se ne ricava. Il problema è che per sapere quanto questa sia, occorre
conoscerla. Però se ho conosciuto il contenuto di un’informazione non c’è
motivo che debba poi comprarla. Chi produce informazione deve avere il
modo di invogliare il cliente all’acquisto a scatola chiusa. Risultato che
si ottiene investendo e gestendo l’immagine e la reputazione. In altre
parole creando ed alimentando un marchio. Si va a vedere Star Wars, Primo
episodio perché le puntate precedenti sono piaciute. Si compra il Sole 24
Ore perché lo si considera autorevole di cose di finanza ed economia. C’è
stato utile in passato e può esserci similmente utile in futuro. In
condizioni non patologiche si ripete un’esperienza perché quella
precedente è stata gradevole. Bisogna tenere presente che Internet, a
differenza dei canali di comunicazione fino ad oggi utilizzati, – posta,
telefono, faccia a faccia – non è un canale di distribuzione
dell’informazione controllato da chi questa informazione la produce. Al
contrario è un canale di accesso controllato dall’utente. E’ lui che
decide quando e dove andare a cercare o leggere qualcosa. Non lo si
spinge, lo si deve attrarre verso. L’esperienza positiva è un attrattore
formidabile.
Nella
rete – dicono i più informati – c’è tanta informazione, ovunque, quasi
gratis. In tanti si lamentano perché ce n’è troppa. Dice Herbert Simon,
nobel per l’economia: “la ricchezza d’informazione crea la povertà
d’attenzione”. Bella frase, vero? Breve digressione. Non è poi tanto vero
che ci sia tutta questa grande informazione sulla Rete. La quantità di
testo disponibile sul Web è circa equivalente a 1,5 milioni di libri. Una
buona biblioteca universitaria di libri ne ha circa 8 milioni. Per non
parlare della qualità media dell’informazione contenuta in essi. Ad essere
di manica larga, possiamo dire che il 10% dei “libri” del Web è di buona
qualità. Il che porta la cifra complessiva in libri-equivalenti a 150mila.
Libro più, libro meno. I cattivi dicono che se ne salva solo l’1%: circa
15mila libri. Una libreria di piccole dimensioni. Incredibile come si
alimentano i miti se ci si basa sul folklore e l’ignoranza. Il vero valore
della Rete è la possibilità di accedere in tempo reale all’informazione.
Non ci sono ritardi fra l’impulso e la sua soddisfazione e la
manipolazione è straordinariamente facilitata. Fine della digressione.
Torniamo a Simon.
Occorre
usare meglio l’attenzione, risorsa limitata ed a somma zero. Non per nulla
si sceglie il fornitore d’informazione, ovvero il portale o il motore di
ricerca, in base alla sua capacità di selezionare, filtrare, sedimentare,
digerire, sintetizzare, catalogare quanto è d’interesse al cliente finale.
La competizione sulla rete si chiama Attenzione. Se io ne ricevo più di
te, io sono meglio. Quanto più sono capace di soddisfare i bisogni del
singolo utente, tanto meglio sono posizionato. Il marketing non è più
basato sul rapporto uno (l’azienda) a tanti (i clienti), ma uno a uno.
Possiamo
trarre una prima lezione da quanto detto finora. Condizione necessaria ma
non sufficiente per avere successo in rete è la personalizzazione del
prodotto offerto. Quanto più è spinta, tanto più aumenta l’interesse del
cliente. Non è una cosa semplice da fare. Richiede strategie dedicate.
Quali? Il seguito ad una delle prossime puntate.
Qualcuno
a questo punto potrà chiedersi che fine hanno fatto le mitiche tecnologie.
Non temete. Ci sono. Sono essenziali. Nonostante il loro ampio spettro,
possiamo nominarle con l’etichetta unica di “infrastruttura” che serve a
memorizzare, ricercare, copiare, filtrare, manipolare, inviare, ricevere,
visualizzare, inventare informazione. Senza infrastruttura non si può
confezionare e recapitare l’informazione ed è proprio la sua formidabile
velocità d’evoluzione ad affascinare ed incuriosire, ad offrire nuove
opportunità. Pensateci un momento. Non sono i cambiamenti
nell’informazione ad alimentare la dinamica in atto, anche perché
l’informazione non è mai cambiata da quando esiste l’uomo. Invece stiamo
assistendo alla diffusione orizzontale, in tutti i settori, di un insieme
di tecnologie che consentono, a parità di quantità e qualità
dell’informazione, di fare sempre di più. Un esempio per tutti. Da sempre
le aziende hanno gestito il magazzino. Prima solo per motivi interni, poi
per lavorare meglio con i fornitori, ora per servire meglio il cliente.
Ogni funzionalità si è aggiunta alla precedente, aumenta la quantità di
cose che si fanno, ma le informazioni sono sempre quelle. Spero sia
chiaro.
L’economia
dell’informazione dunque ha a che fare con l’informazione e con le
tecnologie ad essa associate. Non si possono separare. Si ha a che fare
con un sistema. Non vale l’approccio cartesiano. Non vale neanche quello
olistico. Non è più vero che il tutto è pari alla somma delle parti, come
non è più vero che il tutto è superiore alla somma delle parti. Serve
qualcosa di nuovo, una combinazione intelligente dei due: “la somma delle
parti e l’informazione sulla loro combinazione è superiore al tutto”. Se
trovate qualcosa di meglio fatemelo sapere. La parola chiave è
combinazione. Una volta erano semplici, con sequenze lineari di relazioni
causa-effetto. Oggi sono complesse, instabili, al margine del caos. Ieri
c’era da tenere conto dei rapporti con clienti, fornitori e competitori.
Oggi c’è un attore nuovo, il cosidetto complementatore. Lo si può pensare
come l’opposto del competitore le cui attività sono finalizzate a fare
diminuire il valore delle vostre. Il complementatore invece svolge
attività che fanno aumentare il valore delle vostre. Pensate al caso Intel
e Microsoft. L’uno è complementatore dell’altro. Entrambi hanno a che fare
con gli stessi fornitori, clienti e competitori. Ognuno di loro parla con
tutti gli altri ed ognuno ha la possibilità di cambiare ruolo, se le
condizioni al contorno glielo consentono. Anche di questo occorre
riparlare. Per ora basta. Di carne al fuoco ce n’è pure troppa. A
presto.
Che
la Rete sia con Voi.
mailto:aparo@well.com